Una grande mostra a volte può cambiare la percezione che abbiamo di un artista. Morandi: Lines of Poetry, che si apre questa settimana alla Estorick Collection di Londra, è uno di questi eventi. A parte un paio di acquerelli color pesca, tutto ciò che è esposto è in un bianco e nero austero – il morso grafico dell’acquaforte – o nel grigio piombo di una matita affilata.
Giorgio Morandi (1890–1964) non è noto per le sue linee. Piuttosto il contrario: nel mondo nebbioso delle sue nature morte dipinte, tutto appare sfocato e soffuso. I celebri oggetti che compaiono sul palcoscenico in miniatura del suo tavolo – bottiglie, ciotole, caraffe e brocche – emergono in qualcosa di vago come un chiarore da ribalta. Non ci si aspetterebbe di guardare in profondità dentro questi capolavori dell’arte del XX secolo e vedere un bordo netto, un contorno o qualcosa di preciso come un punto.
Il primo elemento rivelatore della mostra dell’Estorick, che riunisce più di 80 stampe e disegni, è dunque quanto siano forti e decise le sue opere grafiche.
Il fiume argenteo che scintilla perdendosi nel paesaggio italiano in una stampa del 1929 è semplicemente un tratto di pagina bianca e bruciante definita da cespugli e rive nere. È sorprendente e bellissimo, ma potrebbe essere altrimenti piuttosto ordinario senza un’aggiunta singolare.
Dal nostro lato del fiume, Morandi ha incluso un albero i cui cinque rami si aprono come le dita di una mano che si spalanca in esclamazione davanti al panorama; un sostituto dell’osservatore.
Da vicino, l’intera immagine è composta da tratteggi incrociati così regolari e nitidi da sembrare punti di cucitura meccanici, che corrono avanti e indietro sulla lastra d’incisione con angoli complessi.
Le linee si accumulano in trame e intrecci, costanti, pazienti e straordinariamente giudiziosi. È come se temesse di affrettarsi – è pur sempre un’acquaforte, dove un segno sbagliato può portare a infiniti problemi. Ma passando in rassegna la mostra, si vede che le doti grafiche di Morandi sono così sottili da permettergli di rendere le variazioni più fini di atmosfera, tono e luce attraverso variazioni infinitesimali nella direzione del tratteggio. È come un leggero cambiamento di brezza, che muta l’umore e il tempo.
E se si conosce la reputazione di Morandi come scapolo recluso che raramente lasciò la natia Bologna, vivendo e lavorando nello stesso appartamento oscurato fino alla morte, allora questa è la seconda rivelazione della mostra. “Il monaco”, come lo definì un critico – che presumibilmente non faceva altro che dipingere, e dipingeva solo stoviglie – chiaramente usciva nel mondo.
Ci sono rapide impetuose, vecchi edifici pittoreschi, filari di pioppi e olmi, una grande ciminiera industriale che incombe all’orizzonte. Morandi si appassiona alle reti di un campo da tennis, trasformandole in una filigrana sottilissima, e ai solidi vasi di fiori nel giardino del vicino.
C’è un’alzata per dolci ornata e un kitsch decanter che (credo) sono esclusi dai dipinti per essere troppo vivaci. Ci sono ranuncoli pallidi che sembrano essere lì dall’alba dei tempi, a raccogliere polvere nella luce grigia. Ci sono persino, sebbene molto raramente, delle persone.
Da giovane Morandi si mette alla prova confrontandosi con l’arte del passato: una mensola alla Chardin con un cesto, recipienti e drappi. Una collina al mattino così radiosa di luce da dare l’impressione che abbia guardato i disegni di Van Gogh.
Poi, quando Morandi si avvicina ai trent’anni, si insinua un umore caratteristicamente segreto. Perché il coperchio di questa latta è leggermente aperto, in un gruppo in cui tutti gli oggetti sono rivolti nella stessa direzione, come se stesse confidando qualcosa sugli altri in un sussurro?
Perché cinque dei recipienti su un piano d’appoggio sono totalmente bianchi: silhouette incandescenti strappate alle forme scure dietro di loro, come se fossero i prescelti, risucchiati da una magia speciale?
In questa mostra c’è una divergenza curiosissima. I disegni a matita di Morandi diventano sempre più spettrali ed essenziali – forme nella loro massima distillazione, ideali platonici di bottiglie e brocche. Mentre le stampe si fanno più complesse e dense.
È come se l’acquaforte fosse nata come un mezzo parallelo alla pittura, ma che i due in un certo senso fossero convergenti. La linea incisa, l’inchiostro nero, la carta bianca: Morandi aveva scoperto che anche con questi mezzi poteva evocare tovaglie azzurro-gessate e pomeriggi ovattati, far dissolvere gli oggetti in sfocature spettrali al crepuscolo.
Le stampe non portano solo Morandi all’aperto, costituiscono esse stesse un viaggio. Una natura morta giovanile con un cesto del pane manca completamente di carisma, tanto che si nota quanto infinitamente sottile debba essere la disposizione degli oggetti (e gli intervalli tra loro) per suggerire un minimo di dramma.
Mentre un decennio più tardi, nel 1931, la stoviglieria morandiana sul piano del tavolo somiglia a una città vista attraverso acque scure – Manhattan di notte, sotto una pioggia battente. L’effetto è ottenuto in parte accostando in gruppo le forme immerse nell’ombra, ma anche posizionando il bordo del tavolo all’altezza esatta, in modo che l’oscurità sottostante appaia elementare.
Tutti i suoi oggetti hanno presenza. Una fantastica convocazione di brocche si riunisce in concilio. Due con le spalle rivolte verso di noi sono accostate strette a una terza, come alti prelati. Un piatto umile, metà della loro altezza, attende i loro ordini, mentre una bottiglia che non fa parte della società segreta allunga il collo per ascoltare. Striature di luce bianca tagliano verticalmente le brocche nere, rappresentando lo smalto ma con un luccichio quasi aggressivo. Si teme per la bottiglia.
Non è impossibile rendere oggetti umili affascinanti e vitali: Chardin e Cézanne possedevano questo dono, e Morandi imparò da entrambi. Ma le sue osservazioni esigenti sul mondo che lo circondava – fuori così come dentro, come rivela questa mostra – produssero qualcosa di completamente nuovo. L’idea che ogni relazione in una natura morta, e persino in un paesaggio, potesse essere psicologicamente elettrizzante.
"Una bottiglia che non fa parte della società segreta allunga il collo per ascoltare". Natura morta con cinque oggetti, 1956 (in alto) di Giorgio Morandi. In alto a sinistra: Case di Campiaro a Grizzana, 1929.
A destra: Natura morta con vasi su un tavolo, 1931, "silhouette incandescenti strappate alle forme scure dietro di loro come se fossero le prescelte". Courtesy Galleria d’Arte Maggiore GAM, Bologna.
