Il Maestro che rese magico il mondano

Giorgio Morandi: linee di poesia. Estorick Collection, Londra
Alastair Sooke, The Daily Telegraph, Gennaio 16, 2013
"ERA IN GRADO DI evocare un raggio tagliente e argentato, e un cupo tuono"
 

Si può argomentare che Giorgio Morandi (1890–1964) sia l’artista più curioso del XX secolo. Nato a Bologna, condusse un’esistenza monastica, condividendo un appartamento nella città italiana con la madre fino alla sua morte, nel 1950. Riservato e insolitamente alto, non si sposò mai e viaggiò di rado. Visitò Firenze, dove studiò i Maestri del passato, e il villaggio di Grizzana, fuori Bologna, dove trascorreva le estati dipingendo paesaggi.
Sebbene nella sua ventina flirtasse con il Futurismo e il Cubismo, e fosse attratto dalle pitture metafisiche di Giorgio de Chirico, divenne famoso per nature morte poetiche e idiosincratiche che si ponevano in netto contrasto con le tendenze dominanti dell’arte moderna. Le sue composizioni tranquille e di piccola scala sembrano isolate dal mondo esterno tanto quanto lo era lui in privato.
Su carta, dunque, poteva sembrare un tipo bizzarro. È certamente facile immaginarlo isolato e ascetico. Eppure vinse un premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1948 e ha la reputazione di essere l’artista degli artisti.
Le sue tele più note mostrano oggetti domestici come bottiglie, lattine, caffettiere, brocche, boccali e vari recipienti in ceramica disposti in modi diversi su piani da tavolo. Ebbi la fortuna di vedere una retrospettiva delle sue opere al Metropolitan Museum of Art di New York nel 2008: ciò che mi rimase impresso fu l’intensità contemplativa e la sottile sensualità di dipinti che avrebbero potuto apparire infinitamente ripetitivi, ma non lo furono. L’arte di Morandi possiede una qualità senza tempo e monumentale — il che sorprende, dato il gusto casalingo e modesto dei soggetti.
Nella mostra Giorgio Morandi: Lines of Poetry all’Estorick Collection nel nord di Londra non ci sono dipinti a olio, ma qualità simili emergono nelle circa 80 opere in mostra — prevalentemente acqueforti, oltre a quattro acquerelli tardivi, quasi astratti.
Divisa in due sale, la mostra è disposta in ordine cronologico e offre un quadro equilibrato della carriera dell’artista come incisore. Per cominciare vediamo un paio di paesaggi ispirati a Cézanne del 1912 e 1913, ciascuno pieno di vigorose tracce verticali. Non passa molto tempo, però, prima di incontrare una natura morta. In due piccolissime stampe del 1921 Morandi presentò prima una conchiglia screziata a spirale (le forme a voluta sarebbero divenute motivi compositivi importanti), e poi un limone a sinistra di una pagnotta tagliata a metà. Nessuna delle due è un’opera maggiore — il limone è a malapena più grande di una unghia — ma entrambe catturano e trattengono lo sguardo. Natura morta con pane e limone stabilisce alcune preoccupazioni importanti che l’artista svilupperà più avanti: l’interesse per il rapporto fra luce e ombra, e il dialogo fra oggetti muti, animati dallo spazio che li separa.
Nature morte con cesto di pane dello stesso anno comprende più oggetti — una bottiglia, una tazza o boccale, una scatola di latta aperta con il coperchio ribaltato, e un cesto con manico ad anello contenente una forma semi-astratta che denota un pezzo di pane soffice. Di conseguenza riceve un trattamento più sostanzioso: la varietà di segni che rappresentano ombra e luminosità è notevole, mentre lo sfondo contiene sottili fasce di tratteggio più fitto, come la manifestazione di un campo di forza che irradia dai protagonisti. Le aree scure appaiono vellutate e tattili.
Gli anni tra il 1920 e il 1933 furono propizi per l’attività incisoria di Morandi. Oltre a acqueforti di fiori, spesso disposti in vasi a righe, realizzò molti paesaggi con colline illuminate dal sole cosparse delle più massicce ville e alberi slanciati. C’è una chiara analogia tra la composizione di queste ultime opere e quella delle sue nature morte, che godono dell’interazione fra forme contrapposte come bottiglie allungate, o brocche e vasi con beccucci a collo di cigno, contro scatole tozze e cubiche.
Nella seconda sala della mostra, tuttavia, sono le nature morte a essere le più memorabili. Le composizioni si fanno più complesse — anzi, nel contesto di quanto visto prima, iniziano a sembrare barocche. Sono inoltre cariche di metafora. Passate qualche minuto a guardare Grande natura morta con lampada a paraffina (1930), e le forme alte e raggruppate cominceranno a ricordare le torri di una città scintillante.
In primo piano in un’altra immagine sorprendente, del 1931, Morandi presenta una fila di vasi in silhouette invertita: i recipienti appaiono piatti, privi e bianchi, i loro contorni definiti dalle forme scure retrostanti. Hanno una qualità eterea, come messaggeri caduti dal cielo che si materializzano davanti ai nostri occhi.
Negli anni Quaranta Morandi raggiunse un ampio spettro di grigi ammalianti. Poteva evocare un raggio tagliente e argentato, e un cupo tuono come carbone sfregiato. Divenne anche maestro nel rendere le proprietà dei diversi materiali. In Grande natura morta circolare con bottiglia e tre oggetti (1946), la luce luccica sullo smalto traslucido della ciotola in ceramica in primo piano proprio nel modo giusto. Detto ciò, talvolta minacciò le sue immagini con l’astrazione, offrendo gruppi di oblunghe, losangiche e cilindriche figure spettrali sospese in una nebbia grigia. Di conseguenza, nonostante la somiglianza del soggetto, ogni stampa ha una personalità distinta.
Perché Morandi era così ossessionato da bric-à-brac quotidiano? E come faceva a renderlo così magico e misterioso? Non ho risposte pronte a queste domande, ma sono contento che la deliziosa mostra dell’Estorick mi abbia costretto a riconsiderarle.

66 
di 94