Francesco Patriarca

Nato a Roma nel 1974, Francesco Patriarca sviluppa un percorso artistico in cui vita e lavoro si intrecciano in modo indissolubile. La sua formazione professionale nasce infatti dall’esperienza personale, da momenti vissuti che l’artista traduce in progetti visivi, più che in singole opere.

Attivo dalla fine degli anni Novanta, Patriarca espone dal 2002 in gallerie, musei, fondazioni e istituzioni nazionali e internazionali, tra cui The Gossmichael Foundation (Dallas), The Dactyl Foundation (New York), Fondazione Pastificio Cerere (Roma), Museo dei Mercati di Traiano (Roma), Musée Carnavalet (Parigi), Rencontre photographiques en Sud Gironde, e la Galleria Nazionale d’Arte di Tirana. Le sue fotografie, reportage e ritratti, sono apparsi su testate come International Herald Tribune, Courrier International, La Repubblica, Lire, Regal. Tra i progetti più recenti figurano una mostra al Museo e Orto Botanico di Roma, un’esposizione nell’East End londinese e una residenza artistica presso la Sanskriti Foundation in India. Nel 2024 pubblica la sua terza monografia, Clay Ghost, un progetto in cui fotografie e dipinti mettono in scena presenze sospese - oggetti, spazi e volti - che agiscono come “fantasmi” capaci di rivelare ciò che l’immagine normalmente nasconde. Vive e lavora a Roma.

 

Pur utilizzando diversi linguaggi, dalla pittura alla fotografia, è quest’ultima a rappresentare il cuore della sua ricerca. Patriarca costruisce le sue serie come capitoli di un archivio esperienziale in continua espansione: progetti che nascono da incontri, luoghi o condizioni vissute e che il mezzo fotografico traduce in mosaici visivi e mentali. Così, la memoria personale si fa immagine in L'appartement, la sua prima monografia pubblicata a Parigi nel 2002, la vita spirituale diventa narrazione in The Accona Desert, l’architettura comunista albanese si trasforma in riflessione in Pyramids Project, i traumi collettivi emergono in Amnesia, la crisi ambientale in Aggregates. Alternando alta e bassa definizione, nitidezza e fuori fuoco, le sue immagini non cercano mai effetti consolatori: sono piuttosto rivelazioni, consegnano allo spettatore la responsabilità dell’interpretazione e il compito di attraversare un’immagine che si offre come presenza silenziosa, quasi un’apparizione.