Pittore, disegnatore, poeta, musicista: molto più che un artista, Fausto Melotti (Rovereto 1901 – Milano 1986) fu definito una galassia. Amante della ceramica da cui muove i primi passi, sulle orme di Fontana e Leoncillo, Melotti è conosciuto per le sue vivaci e euforiche sculture in ottone. È attraverso questo materiale che si presta a contorsioni e voli, come il muoversi libero delle sfere sostenute da catenelle in Pendolo (1959-60), che Melotti mette in scena un gioco di oscillazioni e simmetrie, di irregolarità giocose come in Trofeo di caccia II (1961), suscitando piacere e divertimento. I suoi insiemi raccontano storie e favole, leggende e miti onirici, in cui i protagonisti senza nome e senza volto, da noi proposti in Senza titolo (1960), definiscono un universo stravagante e fantasioso. Un mondo spesso simbolico, interamente determinato dal contrappunto grafico e lineare, senza spessore e peso che esalta la dimensione di sogno e di racconto. Al di là dei teatrini sceneggiati dallo stesso Melotti, al pubblico è richiesta la partecipazione nel costruire il proprio racconto attraverso l'associazione di singole sculture e nella loro interpretazione. In questo vuoto aereo e meravigliante dell'ottone, così come nel luccichio metafisico della ceramica, proposto in Cerchi (1960 ca), si muovono le singole sculture che sembrano liberarsi di un'esistenza concreta, dominata dalla gravità, per entrare in un mondo plastico che tende all'immateriale e si fa musicale. La filosofia dell'immateriale e del musicale, implica una credenza precisa, quella dello “spirituale nell'arte”, cara a Kandinsky. Nelle sue sculture infatti si percepisce un centro, uno spazio “interiore” che, come lui stesso sostiene, crede che «all’arte si arrivi attraverso l’arte, frutto d’intuito personale: perciò tutto il nostro sforzo consiste nell’insegnare il piccolo eroismo di pensare con il proprio cervello» (Quadrante n. 14-15, giugno-luglio 1934). Tutta la sua produzione, dai primi disegni del 1925 alle sculture degli anni Ottanta, rende evidente che, come scrive Germano Celant: «il suo astrattismo va assunto in una prospettiva spiritualistica e metafisica, con riferimenti alla simbologia del sacro e del magico. E sebbene appaia dissacratorio da un punto di vista figurativo, esso ammette sempre all'origine lo spirito o il verbo, il suono o l'afflato con cui l'universo è stato costruito». La necessità di un sentire interiore, di andare all'origine di se stessi e del mondo, non è però dettata solo dalla cultura cattolica dell'artista, dalla musica, dalla poesia e dalla leggerezza, ma risente anche della sua laurea in ingegneria elettronica, quasi la scultura dovesse riflettere una dimensione atomica o quanto meno microscopica, percorsa da un diluvio di particelle come nel caso di Scultura 21/A (1970) le cui prime realizzazioni risalgono al 1935.

Dagli anni ’70 le sue opere fanno parte o vengono regolarmente esposte nei musei di tutto il mondo, tra cui il MoMA e il Guggenheim di New York, dimostrando l’importanza sancita nel 1986 anche dal Leone d'oro alla memoria de La Biennale di Venezia.

Nel 1999, la mostra antologica ospitata dalla Galleria D'arte Maggiore g.a.m ha messo in luce la singolare fusione tra sculture e disegni di Fausto Melotti, sottolineando l'integrale relazione tra questi due aspetti della sua espressione artistica. Questa esposizione ha ribadito l'importanza attribuita da Melotti alla pratica del disegno nel processo creativo del suo lavoro, evidenziando il suo costante impegno nel cercare nuove vie espressive. L'eccezionale varietà e profondità dei suoi disegni hanno illustrato la sua continua evoluzione artistica nel corso degli anni, riflettendo la sua straordinaria sensibilità e la sua incessante ricerca di nuove forme di espressione visiva.