Nino Longobardi nasce a Napoli nel 1953. 
La sua è una formazione sul campo, da autodidatta, che si compie frequentando gallerie d'arte e incontrando nel suo percorso diversi maestri: Carlo Alfarano, Joseph Beyus, Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva.
Con una gestualità calda ed una ricerca condotta sulla via dell’introspezione, dagli anni Ottanta Longobardi si inserisce nel filone “neo espressionista” che attraverso la riscoperta della manualità prende piede sopratutto in Italia, in Germania e negli Stati Uniti, come risposta alla freddezza e alla ripetitività portata in auge nella decade precedente dall’arte concettuale. In sintonia con la poetica della Transavanguardia, la sua ricerca si muove verso il recupero della soggettività e di un ritorno alla materia: la tela dipinta, l’impasto cromatico, il disegno, attraverso cui gli svela e racconta l’essere umano affidandosi ad una “figurazione instrisa di memorie romantiche e mistiche rivolte ad attingere sia alla “realtà del mondo esterno” che a quella dell'interiorità, il bilico tra l'esperienza concreta e l'inverazione del sogno” (Valter Trione). 
Il suo lavoro nasce e si sviluppa sotto il segno di un legame viscerale con la sua terra d’origine. Costante fonte di ispirazione, il genius loci per Longobardi è una perpetua ricerca nelle proprie radici culturali e geografiche. Profondamente legati alla storia e alla cultura di Napoli e del mondo mediterraneo, alcuni elementi compaiono costantemente nell’arte di Longobardi, fino ad assurgere allo status di simbolo: teschi, corpi umani, graffiti e rilievi murali, si presentano liberati da qualsiasi elemento macabro, morboso o funereo, manifestandosi come elementi in grado di esplorare una bellezza germinale, dove andare a cercare le sorgenti del linguaggio. Ci si imbatte così in figure che rinviano alla statuaria etrusca, che sembrano abitare nel silenzio dei templi e delle cripte per svelare qualcosa di antico, eppure così presente. Secondo Longobardi l'opera d'arte deve essere capace di esprimere verità profonde e autentiche, aspirando a cogliere l'essenza dei corpi e delle cose; l'arte ai suoi occhi è un linguaggio che ha il compito di interrogarsi sul senso di ciò che c'è prima e di quello che viene dopo.
Sono convinto che, sovente, ci si dimentica delle nostre radici, della possibilità di rallentare certi ritmi frenetici. Io avverto il bisogno di sentirmi vicino al mondo “arcaico”. Mi piace considerarmi un artista classico che sa guardare al 2500, che ha coscienza del passato, del presente e del futuro...” (Nino Longobardi)
Gli anni che sanciscono l’esordio di Longobardi sono quelli nei quali l'artista si concentra sullo studio dello spazio e della sua conformazione, indagato attraverso disegno su carta e su parete ma anche attraverso una interpretazione in chiave architettonica e scultorea della tela e una ricontestualizzazione di oggetti relazionati ad interventi pittorici. Emerge un segno fortemente espressivo, tracciato prediligendo matita e carboncino. “io oltre alla pittura, ho sempre fatto altro: installazioni, disegni, sculture...anche quando ho dipinto, mi sono servito di un cromatismo minimo, essenziale”. Longobardi si colloca al di la di scuole e tendenze, operando con assoluta indipendenza, e affrontando elementi ricorrenti con coerenza e costanza: “anzichè riempire le sue tele di immagini diverse, torna sempre su un unico tema “distintamente proprio”. Preferisce lavorare sulle stesse “figure”, aggiornando, apportando piccoli cambiamenti , modifiche appena percepibili” (Valter Trione)
L'espressione gestuale e compositiva di Longobardi subiscono una repentina trasformazione all'indomani del terremoto che il 23 novembre 1980 distrugge la Campania: tale esperienza apporta nuova tensione al linguaggio espressivo dell'artista, che risponde alla potenza distruttrice della natura con opere come Terra Motus (1980) ora in collezione al Museo Madre di NapoliSenza Titolo, conservata nella collezione Terrae Motus alla Reggia di Caserta.
Verso la fine degli anni Settanta Longobardi espone a Europa 79 di Stoccarda, ad Arte Cifra, da Paul Maenz a Colonia, al Centro d'Arte Contemporanea di Ginevra. Con gli anni Ottanta la sua opera giunge ad essere riconosciuta a livello mondiale. Il suo linguaggio compie gradualmente una progressiva scarnificazione del corpo dell'uomo, fino a venire presentato nella sua “struttura finale”, definita dall’artista togliendo peso alla materia, trasformando le sue figure in impronte, in calchi.
Nel 1982 partecipa ad Italian "Art Now: an American Perspective", al Guggenheim di New York e ad "Avanguardia e Transavanguardia" alle Mura Aureliane a Roma.
Il suo lavoro contiunua ad essere conosciuto ed apprezzato a livello internazionale con mostre realizzate all'Istituto d'Arte Contemporanea di Boston, alla Fondazione Miró di Barcellona ('83), alla Nationalgalerie di Berlino ('86), al Grand Palais di Parigi ('87) e al Museo d'Arte Contemporanea di Copenaghen ('88). 
Durante gli anni Novanta l'artista partecipa alla XII Quadriennale, "Ultima Generazione", ed è protagonista di una mostra al Palazzo Reale di Milano con la realizzazione di due vessilli per le Bandiere di Maggio in Piazza del Plebiscito. Nel 2013 espone al Museo Nazionale di Capodimonte, mentre due anni dopo partecipa alla 56a edizione della Biennale di Venezia, partecipando alla mostra Codice Italia nel padiglione nazionale, su invito di Vincenzo Trione.

La Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. ha presentato l'opera di Nino Longobardi nella sua sede storica di Bologna con una mostra del 2003 incentrata sulla produzione dell'artista compresa tra il 2000 e il 2002: una selezione di opere attraverso cui immergersi in un'universo visivo intento a svelare quelle "forze fondamentali dell'essere" (Flavio Caroli) depositate nell'incoscio collettivo e riportate alla luce attraverso immagini dal forte potere evocativo. 
Nell'ottobre del 2006 la Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. con la mostra "Piéce Unique" ha acceso i riflettori sull'opera "Senza Titolo" (1999) dove la figura umana, costantemente presente nell'opera di Longobardi, si rende ancora una volta protagonista ma attraverso l'idea del dinamismo.