Giorgio Morandi. Silenzi | Palazzo Fortuny, Venezia: Curated by Daniela Ferretti and Franco Calarota | The exhibition has been realized thanks to the collaboration of Galleria d'Arte Maggiore g.a.m.

Museum of Palazzo Fortuny, Venezia 4 Settembre 2010 - 9 Gennaio 2011 

"SILENZI"

GIORGIO MORANDI

Che cosa altro aggiungere a tutto quello che è stato detto su uno dei più grandi maestri del Novecento? Quale nuova chiave di lettura proporre sull'opera di Giorgio Morandi? Sono le domande che si è posta Daniela Ferretti curatrice insieme a Franco Calarota della mostra "Silenzi" al museo di Palazzo Fortuny in programma a partire da settembre e per ben quattro mesi nell'autorevole sede veneziana. Attraverso un'accurata selezione delle opere che va dal 1921 al 1963 e che propone dipinti provenienti da prestigiose collezioni, alcuni dei quali raramente esposti, mette in evidenza una delle caratteristiche più importanti e misteriose di Morandi, lasciando aperto il dialogo tra il dipinto e lo spettatore che lo osserva.

Come ricorda Francesco Poli all'interno del catalogo che accompagna la mostra edito da Skirà, l'opera di Giorgio Morandi è oggi diventata "un'icona della cultura artistica". Molte mostre sono state organizzate nei più importanti musei del mondo e molte parole sono state spese sulla sua opera artistica. Con piglio innovativo, l'obiettivo della mostra "Silenzi" a Palazzo Fortuny curata da Daniela Ferretti insieme a Franco Calarota è quello di lasciare parlare i dipinti del maestro bolognese. Presentati attraverso un'accurata selezione che copre un arco di tempo che va dal 1921 al 1963 e che propone un gruppo di opere raramente esposte, la mostra vuole immergere il visitatore nello stesso silenzio meditativo che Giorgio Morandi riservava alla realizzazione dei suoi dipinti. Come ricorda Lamberto Vitali, infatti, Morandi sentiva la necessità di "vivere a lungo dinanzi ai motivi de propri quadri, di farseli familiari, di meditarli" prima di riprodurre sulla tela quella "immutabilità di motivi che non coincide mai con una monotonia di effetti". Il primo silenzio è quindi quello dei curatori che propongono al visitatore di addentrarsi nel dipinto per trovare una personale chiave di lettura, fosse anche solo quella di interrogarsi sul significato di quei vasi e di quelle bottiglie, di quegli oggetti sempre uguali, ma sempre diversi - come ha notato tra gli altri anche Umberto Eco -, sapientemente assemblati e riprodotti che altri non sono se non un codice, l'alfabeto di cui Morandi si serve per esprimere la sua arte. Si instaura così tra l'opera e lo spettatore un dialogo privo di filtri e di parole. Ma non è solo in questa assenza di suoni udibili che va ricercato il silenzio morandiano, che non si presta a un'interpretazione univoca e può essere di volta in volta letto e sentito in maniera differente. Quando si parla di Morandi sarà infatti più corretto parlare di "Silenzi", e da qui il titolo della mostra, accomunati esclusivamente dall'essere uno dei possibili fil rouge della sua opera.

Arnaldo Beccaria, autore nel 1939 della prima monografia dedicata a Morandi, racconta della preparazione ascetica "fatta di digiuni, di silenzi, di mortificazioni del colore" in cui "l'arte è l'espressione dell'abito morale dell'artista" e di quelle "note di colore che si compongono nel silenzio del dipinto; e quel silenzio è acceso di una musica intensa e segreta" che chiude l'opera "in un ordine assoluto" dove "tutto è equipartito, secondo un connaturato calcolo, acutissimo e infallibile, una sublime equazione" dove quei colori bruciano "come un incenso inconsumabile sacrificato al silenzio". Mentre secondo Francesco Arcangeli il silenzio è da ricercare in quello che Morandi decide di non rappresentare nella sua opera, come nel caso della scomparsa della figura umana che il maestro "sembra rendere, forse inconsapevolmente, col suo silenzio il supremo omaggio di un umanista ormai disperato a un'immagine dell'uomo per ora irrestituibile". Sempre dalla rappresentazione parte anche Roberto Longhi quando suggerisce di cercare il silenzio nell'armonia e nell'equillibrio di quegli oggetti che nascondono una realtà più profonda dello loro apparenza, così come Lionello Venturi precisa quando sostiene che Morandi trasporta "l'oggetto al livello della poesia" e le sue nature morte diventano "meditazioni poetiche sui rapporti di forma e colore". Ma è Castor Seibel che evidenza come la pittura di Morandi esprima "ciò che le parole non possono mai dire, cioè una poesia pittorica che esteriorizza l'inafferrabile". E precisa come il silenzio sia evidente anche agli occhi nell'opera del maestro quando sostiene che "Morandi riesce a metamorfosare il silenzio, assenza di suoni, in un fenomeno visivo: la luce del silenzio".