Focus su Burri

Il collezionismo, il mercato, le gallerie
Giornale dell'Arte, Ottobre 9, 2015

L'OPINIONE DEI GALLERISTI

1. Quale significato ha avuto Burri per la sua attività galleristica ?

2. Quale futuro collezionistico prevede per l'opera di Burri ?

 

FRANCO CALAROTA

Galleria d'Arte Maggiore G.A.M., Bologna

1. Mia moglie Roberta ed io abbiamo avuto la fortuna di conoscere Alberto Burri tra le colline umbre verso la fine degli anni Ottanta. Altro luogo in cui la figura di questo grande artista si intreccia con la nostra attività è Faenza. L'ultimo grande cretto in ceramica, Nero e Oro, è stato infatti presentato al Mic – Museo Internazionale delle Ceramiche nel 1993. Già dagli Anni Ottanta abbiamo inoltre proposto Burri ai nostri collezionisti, soprattutto internazionali, che chiedevano il nostro consiglio sull'arte italiana. Il suggerimento di includere opere di Burri, visto il riconoscimento sia culturale sia di mercato che lo ha visto protagonista in anni successivi, ci ha permesso di consolidare il rapporto con importanti collezionisti con cui ancora siamo in contatto

2. E' sicuramente tra gli artisti che più contribuiscono ad accendere l'attenzione internazionale sullo scenario artistico del nostro Paese nel secondo dopoguerra. Dal punto di vista del mercato, questo è testimoniato dal ruolo di primo piano che l'artista riveste nelle famose Italian Sales delle maggiori case d'aste e, come galleristi, lo riscontriamo continuamente nelle fiere d'arte internazionali. L'attenzione per questo artista si farà sempre più radicata e crescerà per coinvolgere un pubblico sempre più internazionale.

 

BURRI E LA GALLERIA MAGGIORE

DALL'UMBRIA ALLA COSTA AZZURRA PASSANDO PER FAENZA : I TANTI INCONTRI CON BURRI DELLA GALLERIA D'ARTE MAGGIORE 

Franco Calarota, presidente e Fondatore della Galleria d'Arte Maggiore, racconta il suo rapporto con Alberto Burri ripercorrendo i luoghi dei loro incontri e intrecciando questi ricordi ad alcuni dei momenti più significativi dell'attività della Galleria tra gli anni Ottanta e Novanta.

Mia moglie Roberta ed io abbiamo iniziato a frequentare Alberto Burri verso la fine degli anni Ottanta. In quel periodo il nostro lavoro si andava sempre più delineando come un'opera di rilettura sistematica delle generazioni storiche del secondo dopoguerra italiano, in un'ottica anche operativa che ne riguardasse più la riproposizione sul piano internazionale che l'attenzione al ristretto ambito italiano. Uno degli autori su cui più operavamo era Leoncillo, una passione che non ci ha mai abbandonato, e dunque Città di Castello era una meta vicina, e le visite a Burri un dovere e un piacere. Burri incarnava per noi, che molto abbiamo operato sul Novecento e che abbiamo fatto di Morandi la nostra stella polare, l'incarnazione della continuità profonda dell'arte italiana del secolo, che va ben al di là delle forme esterne e che può riconoscersi veramente come una “lingua madre”. Per questo da allora i nostri rapporti con il collezionismo internazionale hanno sempre riguardato Burri e la sua opera. Abbiamo preferito selezionare degli interlocutori in tutto il mondo che sapessero guardare all'anima dell'opera oltre le mode decennali, e che fossero in grado di vedere in lui uno dei grandi autentici portati dell'arte italiana del ventesimo secolo: insomma, quelli che Goethe definisce “i collezionisti felici”, non i Gordon Gekko dell'arte. Siamo orgogliosi di aver contribuito, con questo, a rafforzare definitivamente l'immagine di Burri nel mondo. Con grande gioia abbiamo poi visto da vicino nascere il grande cretto “Nero e Oro” per il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, nel 1933, nella stagione in cui la nostra collaborazione con il museo era molto intensa, con le mostre di Arman, Leoncillo, Louis Cane e Louise Nevelson. Ed è proprio negli anni Novanta che i nostri incontri con Burri si spostarono anche in Costa Azzurra. L'artista si trasferì infatti in quel decennio a Beaulieu-Sur-Mer, località adatta per curare il suo enfisema polmonare. Quello splendido tratto di costa lo frequentavo spesso insieme a mia moglie Roberta. Eravamo infatti soliti, come lo siamo tuttora, frequentare a Saint Tropez la casa del figlio del maestro Massimo Campigli, Nicola. Un luogo a cui siamo molto legati, in cui abbiamo avuto la fortuna di instaurare anche un profondo rapporto di lavoro e di amicizia con Antoni Clavé (oggi protagonista della mostra che abbiamo organizzato alla 56° Biennale di Venezia alla Scoletta dell'Arte dei Tiraoro e Battioro) passando molto tempo nel suo studio frequentato da personaggi di primo piano come Pierre Schneider, François Pinault e Roland Petit. Nei nostri ricordi quindi la figura di Burri si lega anche a una stagione molto viva ed entusiasmante della nostra attività e a un luogo che portiamo nel cuore. Alberto Burri è sicuramente tra gli artisti in cui si è più radicata l'attenzione internazionale sullo scenario artistico del secondo dopoguerra italiano. Dal punto di vista del mercato, questo è testimoniato dal ruolo di primo piano che l'artista riveste nelle Italian Sales delle maggiori case d'asta, e dalla sua presenza autorevole nelle fiere d'arte internazionali cui partecipiamo, da The Armory Show a New York ad Art Basel Hong Kong. Burri ha un collezionismo consapevole e raffinato che riconosce nelle sue opere una delle più alte e coinvolgenti personalità espressive del Novecento e che quando ne acquisisce un'opera considera la propria scelta una decisione anche intellettuale, e di lungo periodo. Il suo è un caso in cui è facile profezia prevedere un ulteriore consolidamento sul piano internazionale, dal momento che la sua storicizzazione e il suo livello qualitativo sono ormai universalmente condivisi e fuori da ogni discussione possibile. Oltre ai grandi sacchi, alle plastiche combuste e alle opere universalmente note, trovo molto interessanti i “Neri” realizzati su cellotex, per il processo di semplificazione che porta l'artista all'estrema essenzialità. La riduzione alle forme espressive più semplici, il materiale povero, artificiale, di uso industriale e le campiture monocromatiche, non limita assolutamente la forza comunicativa delle opere, e trovo questo l'ennesimo segno di grandezza del maestro.

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