Nel 1993 Franco e Roberta Calarota propongono un'innovativa e importante mostra sull'arte di Gino Severini, intitolata: "Gino Severini: la regola, la maschera, il sacro". Nella sede principale della Galleria d'Arte Maggiore g.a.m.  di Bologna ricostruiscono in originale, la "Sala delle Maschere", un'intera stanza del Castello di Montegufoni affrescata da Severini nel 1921 su commisione di George Sitwell.

 

Gino Severini (Cortona, 1883 - Parigi, 1966)
Già dotato di una tecnica rigorosa fin dai primi anni del '900 (Via di Porta Pinciana al tramonto, 1903), il suo trasferimento a Roma determina l'incontro con le amicizie che dureranno una vita: insieme a Umberto Boccioni studia nell'atelier di Giacomo Balla e firma, insieme a Luigi Russolo e Carlo Carrà, il Manifesto della pittura futurista nel 1910. Il futurismo di Severini, soprattutto dopo i soggiorni a Parigi e le amicizie con Pablo Picasso, Georges Braque e Juan Gris, è pregno del Cubismo che sta nascendo proprio in quegli anni: in una fusione unica nel suo genere, le diverse visioni date dalla scomposizione analitica del soggetto vengono articolate su equilibri dettati dalla geometria; ma se i suoi compagni inneggiano alla macchina e al progresso come soggetto principale, Severini trae invece ispirazione dai cabarets e dai locali notturni (Danse de l'ours, 1913-14; Danseuse dans la lumière, 1913-14). La scelta è determinata anche dalla sperimentazione con il collage e ne apre le potenzialità ai dadaisti e ai surrealisti.

E' verso il 1920 che il pittore avverte il bisogno di rispondere a un tipo di ispirazione diversa, più legata al riscoprire il valore intrinseco dei numeri per applicarlo a un nuovo rapporto arte-scienza: Severini si pone nell'ottica di dare una regola all'intuizione e si unisce così al gruppo dei "Valori Plastici", rivista fondata nel 1918 da Mario Broglio (Paniers de raisins et bouteille, 1919; Natura morta con rose e frutta, 1919). 

Nel 1921 pubblica il libretto "Du Cubisme au classicisme", dove cerca di legittimare il Cubismo spiegando come l'artista debba lavorare conoscendo alla perfezione la geometria. 

Severini torna a Parigi nel 1923 e, animato da una ritrovata fede cattolica, si dedica all'arte sacra e al mosaico. Sono modi, per lui, di ritrovare le tracce di Masaccio, Piero della Francesca, Paolo Uccello e Luca Signorelli: artisti che fanno parte della sua "toscanità" e lo aiutano a rappresentare non l'episodio sacro, ma il "sacro" in quanto tale, esattamente come le ballerine del 1913 rappresentavano non il soggetto in sé, ma la sensazione dinamica che emanavano. 

Nel 1932 partecipa alla Biennale di Venezia con il gruppo degli italiani a Parigi. La sua prima, importante retrospettiva avviene ad Amsterdam presso la galleria Huinck & Sherjon: il successo immediato sul mercato tutt'ora spiega la grande presenza di opere di Severini in molte collezioni olandesi.

Nel 1935 vince il Premio per la pittura alla Quadriennale di Roma (oltre alla Legione d'Onore francese nello stesso anno) e si stabilisce nella capitale. Durante il conflitto il pittore si trova a Roma e si lascia soprattutto attrarre dalla natura morta e dal pensiero di Matisse, da cui assorbe l'attitudine a far emergere l' "espressione" dall'opera, traducendola come il complesso in cui sono disposte le forme e tracciate tutte le linee, l'alternanza fra gli spazi pieni e vuoti. 

Muore il 26 febbraio 1966 a Parigi. 

Le opere dell'artista sono esposte in tutte le maggiori sedi espositive italiane: Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea (Roma), GAM (Torino), Museo dell'Accademia etrusca (Cortona), Peggy Guggenheim Collection (Venezia). All'estero, si possono ammirare presso: Museum de Fundatie (Paesi Bassi), Guggenheim Museum (New York), MoMa (New York).