L'Italia di Arman e della Topolino

Carlo Alberto Bucci, L'unità, Settembre 26, 1994

L'ITALIA DI ARMAN E DELLA TOPOLINO

Per Arman la ceramica è una novità. Mai prima d'oggi il noto artista francese, che vive tra Vence e New York, si era confrontato con questa materia. Ma Arman è un uomo che sa sfruttare le occasioni che il caso gli offre. Ha scelto il suo nome d'arte sfruttando un refuso apparso sul catalogo di una sua mostra del 1985; ha raccolto per anni semplici oggetti d'uso quotidiano allineandoli sulle sue tele, accumulandoli dentro teche oppure disponendoli ammassati su piedistalli per farne delle sculture. Allo stesso modo oggi ha deciso di accettare l'invito dei curatori della IV Biennale della Ceramica di Antiquariato di Faenza (aperta fino al 23 ottobre al Palazzo delle Esposizioni) che gli hanno chiesto di realizzare delle opere attraverso l'antica e preziosa tecnica della ceramica. Proprio a lui che da sempre è stato legato alle povere immagini del presente (valige, caffettiere, forchette, ecc.) Proprio a Faenza e, per di più a confronto con le antiche ceramiche presentate dagli antiquari negli stand della sezione mostra-mercato, e con quelle delle quattro esposizioni di carattere storico allestite per l'occasione. E davanti a dodici fiasche del '500, provenienti dalla farmacia dei Gesuiti di Novellara, Arman si ferma incuriosito mentre ci intrattiene parlandoci del suo recente lavoro e di quello passato. Sono dodici fiasche praticamente identiche, «sembrano proprio una mia accumulazione» esclama divertito Arman. Entriamo nella sala della sua mostra e troviamo cumuli di motori d'auto, di macinini di caffè, di macchine da cucire, caffettiere sezionate e allineate mentre altre riempiono completamente una Fiat Topolino grande al naturale: tutto perfettamente e mirabilmente riprodotto in ceramica dalle maestranze locali; tutto lucido, prezioso e luccicante. Ma dove è finita la «sporcizia», la patina dura del tempo depositata sugli oggetti e sugli ammassi di spazzatura (poubelles) che Arman esponeva un tempo? «Trent'anni fa non avevo soldi per comprare materiali ricchi e quindi utilizzavo gli scarti dell'attività umana», risponde, prendendoci in giro, Arman (che ha fatto molti lavori fracassando e/o incenerendo costosissimi violini, violoncelli e pianoforti a coda). E aggiunge: «Quello che mi interessava, e che mi interessa oggi come allora, è l'oggetto d'uso comune. Perchè esso è un estensione dell'uomo. Come le termiti che trasformano il legno l'uomo trasforma gli oggetti e questi diventano la testimonianza dell'attività umana».

 

E l'immondizia, quei residui del pranzo che fondeva nel poliestere?

 

Le poubelles erano il risultato di un cambio nella vita. Quando un oggetto o una cosa diventa spazzatura non è più manipolabile. È una cosa in cui è possibile vedere tutti gli scambi di una giornata di un uomo del XX secolo. È quasi un'archeologia del contemporaneo. Una tranche dell'attività del secolo. Ma è un'immagine che cambia come, nel corso dei decenni, è cambiato l'aspetto generale e le cose che si trovano all'interno del supermercato.

 

Attraverso la ceramica, qui a Faenza, ha contraffatto una Fiat Topolino riempiendola di caffettiere: perchè proprio questi due oggetti per questa sua monumentale e incongrua associazione di immagini?

 

Il mio sguardo è quello di uno spettatore della vita italiana. È un pleonasmo. Perchè la Topolino è tanto italiana, è l'essenza dell'automobile del dopoguerra. E anche il caffè lo associo all'Italia.

 

Che cosa è per lei l'ironia?

 

La cosa che mi fa più paura è prendermi troppo sul serio. Ma quando lavoro prendo seriamente ciò che faccio. Dopo prendo le distanze da ciò che ho realizzato, dopo, attraverso cioè il titolo che dò all'opera, entra in ballo l'ironia.

 

Che peso ha la casualità nella scelta e nell'assemblaggio delle sue «accumulazioni»?

 

È un hasard calcolato su una superficie. Se prendo dei piccoli oggetti, come delle penne, li spargo sul piano lasciando la disposizione al caso. Altre volte pongo invece molta attenzione nell'accostare un pezzo all'altro. Come ho fatto con le caffettiere tagliate a metà in quest'opera chiamata Quatre étages de conservation che, anzi, sarebbe il caso di intitolare Morandi metallico.

 

Nella sua distruzione di strumenti musicali allude forse a un'armonia infranta?

 

No. Non uso questi strumenti per la loro musica ma per la loro forma. La forma di un violino è istintiva: è come una donna, come una scultura cicladica. Un violoncello o una chitarra classica sono strumenti che hanno più di 300 anni. E la loro forma è rimasta intatta nei secoli. Se un oggetto non cambia è possibile farci molte cose, perchè è un oggetto terminato: è divenuto classico. E, infatti, i cubisti l'hanno scomposto per dire che in quel pezzo di violino c'è tutto il violino.

 

In alcune opere, come Moon Crescent fatta di tanti falcetti accostati e fusi nel bronzo, è come se l'oggetto fosse rappresentato da fotogrammi in successione, come accade nel dipinto di Duchamp del 1912 Nu descendant un escalier.

 

Sono sensibile alla forma, alla direzione e alla dinamica dell'oggetto in movimento. Ma in Moon Crescent i falcetti vanno visti insieme all'altra opera, quella fatta dai martelli: come un ironia del simbolo comunista della falce e martello.

 

Nel contraffare gli oggetti fondendoli nel bronzo o riproducendoli in ceramica sembra che lei voglia elevare le semplici cose all'alto rango di scultura monumentale, come accade nell'accumulazione di valigie bronzee che ha collocato all'entrata di una stazione ferroviaria di Parigi.

 

Veramente avrei preferito mettere delle vere valigie. Ma cosa sarebbe rimasto dopo soli due mesi di esposizione all'aperto di un mucchio di borse in cuoio?

 

Quindi le ha inglobate nel metallo per farle diventare eterne.

 

Eternità! Eternità è una parola grossa. Eternità relativamente alla nostra breve esistenza.

 

Cosa le è rimasto del nuoveau réalisme di questa tendenza dell'arte contemporanea che ha voluto cogliere la realtà in tutta la sua pienezza e che le ha fatto abbandonare la pittura a favore dell'object trouvé

 

La percentuale di nouveau réalisme nel mio lavoro oggi è molto piccola. Restany mi ha sgridato per questo. Ma non posso fare la stessa cosa tutta la vita. Privilegio dell'artista è la possibilità di cambiare. Rispetto a ieri oggi uso materiali differenti, come la ceramica faentina, per esempio. Sono passato all'oggetto elaborato e reinterpretato. Le composizioni sono più estetiche e non più lasciate al caso. E poi non è vero che ho abbandonato la pittura. La prossima mostra che farò a New York nella galleria di Marisa del Re è composta da 20 quadri con un unico soggetto: la notte stellata di Van Gogh.

 

CARLO ALBERTO BUCCI

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