Allen Jones, lo scultore fetish: "Con la mia donna-tavolo volevo offendere i canoni dell'arte non le persone"

Francesca Pini, 7 Sette - Corriere della Sera, Marzo 22, 2024

Elton John si è momentanea­ mente separato dalla scultura della donna-­tavolo verde, ma solo per tarla restaurare dal­ lo studio di Allen Jones (86 anni, noto artista della Pop Art inglese). Mentre il corpo perfetto di Kate Moss è una Venere, scultura-armatura dalla "pelle" ramata.
Quelle sue opere feticiste fanno ancora oggi scandalo, Mr. Jones?

"Quello che mi ha appena chiesto è una dimostrazione dì come dovevo di­ tendermi quando si diceva che il mio lavoro era un'oggettivazione della don­na. Ciò non significa che sia quello che avevo in mente. L'artista Balthus viene ora criticato perché ha dipinto bambine. E, dopo che qualcuno lo ha fatto notare, non si può fare a meno di vedere che questa bambina è seduta con le gambe aperte. Si sa, la maggior parte dei bam­bini si siede così. Ma, evidenziata come illustrazione di una cosa particolare, al­lora limita l'interpretazione di quell'im­magine. E ora penso che per molte per­sone sia difficile guardare Balthus senza pensare che forse era un cattivo ragazzo. Credo che questo danneggi l'immagine e la storia dell'arte»». Lui tiene a precisare che due terzi delpla sua produzione è pittorica, anche però abbinata alla scultura, come ben vediamo nel suo solo show Forever Icon alla Galleria d'Arte Maggiore di Bologna (fino al 14/04). "Tutta la pittura o l'arte si basa sull'illusione. Se hai mia superficie tridimensionale che emerge da quella pittorica, su di essa stai creando un'im­magine che essa stessa è un'illusione, e puoi suggerire anche un movimento".
In realtà le sculture fetish furono una sua controreazione al mininalismo...
"Beh, ovviamente nessuno vive nel vuoto pneumatico. All'epoca abitavo e la voravo a New York, ero un pittore. E se si aveva a che fare con la figura, non si era di moda, si perdeva il favore della criti­ca. La pittura d'avanguardia era passata dall'astrazione al minimalismo, un nome su tutti Donald Judd con le sue "scatole" vuote in acciaio. Potevo capire intellet­tualmente questo sviluppo, ma non riuscivo a trovare una motivazione per non usare io la figurazione. Mi resi conto che il problema non era il soggetto, ma il lin­guaggio usato, che si era esaurito. Pensai che doveva essere possibile rappresentare la figura in un modo che non si basasse sulla storia dell'arte e non rassicurasse l'osservatore".
Per realizzare queste sculture erotiche lei si rivolse al museo delle cere di Madame Tussauds di Londra. "Quando tornai da New York a Londra nel (la mia prima moglie aspettava due gemelle, nate nel 1968, e anche se me la cavavo bene come artista, non potevo permettermi di crescere due figlie con­ temporaneamente in un istituto privato a Manhattan), contattai il museo che mi consigliò uno degli scultori che lavorava­ no per loro. Gli diedi istruzioni e disegni. E facendo realizzare la figura a qualcun altro, eliminai il mio coinvolgimento. La prima figura, Hatstand, fu quella in piedi, con le braccia alzate, in posa di benvenu­to. Però se la figura avesse indossato abiti normali, sarebbe sembrata uno strano manichino di una vetrina di Bond Stre­et. Mi chiedevo come si potesse vestire la figura in modo che i genitali fossero co­perti. Quindi con un costume da spoglia­rellista da nightclub. A quei tempi c'era la rivista Playboy, pubblicizzata dapper­ tutto. Un'idea così divertente, tutte vestite con le orecchie e la coda da coniglio".

Nel 1968 a Parigi, i giovani innescano la rivoluzione dei costumi e della società. E, nel 1969, in controtendenza, realizza la donna-­tavolo e la donna­-sedia...
"Ebbi l'idea che, forse, se avessi dato alle mie sculture una funzione, ciò avrebbe spiazzato ulteriormente l'aspet­tativa dell'osservatore. E avevo visto in qualche fumetto la figura di un tavolo. Così abbiamo realizzato il tavolo e poi la sedia, e si dà il caso che fosse il perio­do in cui il movimento femminista stava prendendo forza, ma eravamo tutti parte della stessa società e dello stesso mon­do. E il mio lavoro era un commento che, guarda caso, produceva un'imma­gine perfetta per la loro campagna. Ma io ho fatto queste sculture per estendere e offendere i canoni dell'arte. Non altre persone. Ho realizzato i miei lavori per motivi artistici. Ma, qualsiasi cosa dica, questo suona come una scusa".
Negli anni 70, le sue mostre furono attaccate da gruppi di femministe. La protesta più eclatante?
"Beh, per me fu piuttosto sconvolgen­te. Se si fa una qualsiasi rappresenta­zione, si oggettiva la figura, anche se si è Rembrandt. Feci ima mostra all'ICA di Londra. In strada vidi tanta polizia e capii che stava succedendo qualcosa. Ricordo di aver detto a mia moglie: 'Toh, guarda, devono aver parcheggiato sulla strada che porta a Buckingham Palare, è ille­gale!'. Quando sono entrato in galleria ho visto tutta quella follia. Stranamente, la maggior parte di chi protestava erano uomini gay, che attaccavano adesivi sul­ le opere, fortunatamente grafiche, tutte sotto vetro. Cera il caos. Mio padre era venuto a vedere la mostra e non riusciva a credere a quello che stava succeden­do. Il direttore della galleria, accompa­gnato da un alto ufficiale di polizia, mi presentò: 'Questo è l'artista'.  Pensai che costui mi avrebbe fatto passare un brutto quarto d'ora. Ma in realtà, mi disse solo: 'Firmi un poster per i colleghi della sta­zione di polizia'. E se la cosa non pre­ occupava i poliziotti, allora non dovevo preoccuparmi nemmeno io. Ho prodot­to un'immagine perfetta per la questione femminista, vedere una figura a quattro zampe usata come tavolo. Ok, ma avreb­bero potuto prendersela con una rivista fetish o altro".
Negli anni 50 e 60 c'erano icone come Jackie Kennedy, Marilyn Monroe, Liz Taylor, Brigitte Bardot, Raquel Welch, Jane Fonda in Barbarella, e anche Ursula Andress in 007. Oggi per lei, ma anche per altri artisti, la musa è Kate Moss. Cos' ha di così speciale questa top model da immortalarla in scultura? "Molto fotogenica. Certe persone di­ventano improvvisamente onnipresenti. Ma la cosa che mi ha sempre interessato di più, in fatto di belle donne in pubblici­tà o nel cinema, era quanto fosse diversa la visione americana da quella europea. E mi sono reso conto che le star del cine­ma europeo esprimevano più sessualità. Brigitte Bardot più di Marilyn Monroe".
Stanley Kubrick nel film Arancia meccanica si è ispirato al suo lavoro...
"Non l'ho mai incontrato, abbiamo solo parlato al telefono, aveva visto una mia mostra e voleva sapere se avrei lavo­rato con lui sul set del film disegnando il club, l'arredamento. E la cosa mi ha en­tusiasmato. Poi gli ho detto: 'Beh, si trat­terà di un lavoro di tre o sei mesi, quanto puoi pagare?'. Ma rimasi assolutamente scioccato da ciò che disse: 'Sono un regi­sta famoso, e se ti fai notare nel mio film, avrai un sacco di lavoro'. Risposi: 'No, non sono uno scenografo di cinema. Se riesci a farmi fare un mostra al Louvre o al MoMa, allora ok, sì lo farò'. Poi, alla fine gli ho detto: 'Se ti piace la mia idea e vuoi usarla, usala pure'. Non si possono brevettare le idee".

 

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